La prevenzione dei traumi contusivi del ginocchio
I traumi distorsivi a livello dell’articolazione del ginocchio rappresentano un’evenienza piuttosto frequente nell’ambito della traumatologia sportiva. L’evento lesivo in tal senso è generalmente costituito da un trauma in torsione che solleciti, oltre il loro limite strutturale, le strutture capsulari e legamentose che sono preposte alla coaptazione (ossia al mantenimento in sede) del femore e della tibia. Nei traumi di entità minore vengono generalmente interessati solamente i legamenti più periferici, ossia il legamento collaterale laterale (LCA) ed il legamento collaterale mediale (LCM),mentre nei traumi più gravi possono essere interessate anche le strutture del pivot centrale costituite dal legamento crociato anteriore (LCA) e dal legamento crociato posteriore (LCP). Inoltre, sia nel caso d’interessamento dei legamenti collaterali, che del pivot centrale, si possono associare delle lesioni meniscali. Lesioni di modica entità a livello del LCL e soprattutto del LCM, che mostra buona capacità autoriparative, possono essere trattate in conservativo, mentre le lesioni meniscali ed i danni di una certa gravità a livello del LCA e del LCP, spesso richiedono un trattamento di tipo chirurgico.
La prevenzione è possibile?
Prima di affrontare l’argomento riguardante la possibilità di mettere in atto un’efficace e razionale strategia di tipo preventivo nei confronti dei traumi distorsivi a carico dell’articolazione del ginocchio, cerchiamo di fare una brevissima, ma spero istruttiva, disamina dell’eziologia traumatica nell’ambito dei giochi sportivi.
Il gesto atletico che, tra tutti, mette maggiormente a rischio l’integrità capsulo-legamentosa delle articolazioni degli arti inferiori, è costituito dal balzo, che mostra un’incidenza traumatica pari a ben il 28,9%, anche se in effetti l’85% dei possibili traumi distorsivi conseguenti un’azione di salto, riguarderebbe l’articolazione tibio-tarsica (Sannicandro, 2007). In ogni caso, la velocità verticale di ricaduta, dopo un azione di balzo, quantificabile in un range di velocità all’incirca comprese tra 2.6 e 4 m.s-1 (Weineck, 1998), sottopone ad una cospicua risposta funzionale la muscolatura deputata alla stabilizzazione dell’articolazione del ginocchio. Contestualmente a ciò, occorre ricordare che anche il vettore di velocità diretto verso il comparto laterale del piede assume un valore , durante la fase di ricezione di un salto, di circa 2 m.s-1, impegnando in tal modo non indifferentemente la muscolatura intrinseca ed estrinseca del piede stesso (Weineck, 1998). Per inquadrare con ulteriore precisione l’eziologia degli eventi traumatici nell’ambito del calcio, è importante tenere conto del fatto che il meccanismo traumatico responsabile di un evento lesivo a livello degli arti inferiori, nell’ambito degli sport di squadra, è costituito per il 20,7% dalla fase di ricaduta, per il 30,2% da un cambiamento di direzione e/o di senso e per il 39,7% dei casi dalla fase di contrasto con un avversario (De Carli e Vulpiani, 2000). In ambito prettamente calcistico invece, il fattore di rischio intrinseco di maggior rilevanza, in senso generale, sarebbe costituito dal fallo di gioco che renderebbe conto di oltre il 23% della globalità degli infortuni (Junge e coll., 2001).
A fronte di questo, ragionando in un’ottica di tipo preventivo, occorre sottolineare che la muscolatura preposta all’azione stabilizzatrice, o propriocettiva che dir si voglia, dimostrerebbe un’adattabilità di tipo “velocità dipendente”. In altre parole si adatterebbe in funzione della velocità alla quale vengono svolte le esercitazioni. Alla luce di questo dato, appare quindi chiaro come esercitazioni di tal tipo, svolte a basse velocità esecutive, non possano sortire un adattamento positivo nel caso di contesti estremamente dinamici come nel caso, appunto, delle azioni di gioco. A questo scopo assumono pertanto una valenza particolare tutte la esercitazioni di forza reattiva, come balzi, skip, cerchi, funicelle, pliometria di tipo verticale ed orizzontale, ossia tutte le esercitazioni che sollecitino la coordinazione fine, in situazione dinamica, della muscolatura dell’arto inferiore in toto ,ossia della gamba e del complesso piede-caviglia, (Sannicandro, 2007).
Il significato ultimo di propriocezione, dovrebbe in effetti essere quello di una corretta gestione, o meglio multi-gestione, di componenti sensoriali tra loro molto eterogenee, che vanno dalla coordinazione intermuscolare ed intramuscolare, alla gestione dell’equilibrio, al controllo del disequilibrio (questi ultimi due aspetti possono essere considerati come due “facce della stessa medaglia), alla percezione del movimento e così via… (Sannicandro, 2007). Il tutto calato in un contesto il più attinente possibile alla reale situazione di gioco. Specificatamente nella fase di ricezione di un salto assume una forte valenza l’efficacia della muscolatura cosiddetta stabilizzatrice, la quale svolge il compito di assicurare all’articolazione o alle articolazioni sollecitate (nel caso specifico del salto quindi l’articolazione dell’anca, del ginocchio e della caviglia) la necessaria solidità meccanica. L’azione stabilizzatrice di tipo muscolare, avviene tramite un aumento della stiffness (ovvero la rigidità del complesso muscolo-tendineo), che generalmente avviene grazie ad un meccanismo di pre-attivazione, della muscolatura preposta a tale compito.
Il balzo nell’ottica preventiva
Una gerarchizzazione degli interventi articolari nel corso dell’espletamento di un salto, sia che quest’ultimo preveda una fase di caricamento eccentrico (CMJ), oppure sia effettuato solamente attraverso un’attivazione di tipo puramente concentrico (SJ), vede l’articolazione dell’anca farsi carico del 28% del lavoro effettuato, mentre il ginocchio e la caviglia, svolgono rispettivamente circa il 50 ed il 23% del lavoro (Hubley e Wells, 1983). Al contrario, in un balzo eseguito in modalità monopodalica, la maggior quota di lavoro sembrerebbe essere a carico dell’articolazione tibio-tarsica, con un incidenza percentuale di circa il 42% (Van Soest e coll., 1985). Da un’analisi biomeccanica maggiormente calata in un ottica preventiva e /o riabilitativa (Bisciotti, 2004), è possibile evincere che la fase di atterraggio di un balzo è sostanzialmente suddivisibile in tre “sottofasi” ben precise:
• La fase d’impatto (figura 1)
• La fase eccentrica di pre-stabilizzazione (figura 2)
• La fase eccentrica di stabilizzazione (figura 3)
Ognuna di queste tre fasi può, ovviamente, avere livelli sia qualitativi (in termini d’intensità), che quantitativi (da un punto di vista di durata temporale) molto diversi e comunque strettamente legati al contesto situazionale; inoltre, all’ultima fase, nella quasi totalità dei casi, è intimamente collegato un altro gesto dinamico, come una successiva azione di balzo, la ripresa della meccanica di corsa, un gesto tecnico… ecc..
Da un punto di vista preventivo quindi, rivestono una capitale importanza tutte quelle esercitazioni che comportino il controllo articolare, da parte della specifica muscolatura preposta a tale compito, durante la fase di ricezione di un balzo, effettuata su diversi tipi di superficie (stabile, instabile di diversità densità…ecc…), in situazione sia monopodalica che bipodalica, seguita o meno da un ulteriore azione dinamica di tipo generico o specificatamente tecnico.
Nelle tre figure successive, possiamo osservare cosa accada, da un punto di vista biomeccanico, durante le tre fasi sopra descritte, nel caso in cui nell’atleta siano ancora evidenti i postumi di un evento distorsivo a carico dell’articolazione del ginocchio, nello specifico l’arto leso corrisponde al grafico verde, mentre l’arto sano a quello rosso.
Figura 1: l’indice d’impatto quantifica la forza verticale massima d’impatto ed evidenzia, oltre ai deficit di tipo meccanico, le eventuali strategie di tipo protettivo poste in atto dal soggetto nei confronti dell’arto leso
Figura 2: il particolare tipo di attivazione neuro-muscolare che si ritrova nel corso della fase pre-eccentrica di stabilizzazione assume un importante valore diagnostico soprattutto in particolari discipline sportive, come ad esempio lo sci alpino, in cui l’atleta ritrova un pattern neuro-muscolare molto simile
Figura 3: l’ultima fase, denominata “fase isometrica di stabilizzazione” indaga sul possibile squilibrio artro-muscolare durante una contrazione di tipo isometrico sotto forma bilaterale.
Se di prevenzione possiamo parlare…
Se l’argomento è la prevenzione, direi che il razionale applicativo da adottare è duplice:
– da una parte occorre, inserire delle esercitazioni di forza reattiva, come vari tipi di balzi, skip di diverso genere , pliometria verticale orizzontale..ecc.. allo scopo di stimolare, in un contesto estremamente dinamico, la coordinazione fine della muscolatura degli arti inferiori. E’ importante ricordare che, variando gli angoli di lavoro e/o la situazione di meccanica esecutiva (monopodalica o bi podalica), è possibile agire in modo biomeccanicamente variabile sulle tre articolazioni interessate ossia, anca, ginocchio e caviglia.
– dall’altra occorre contestualmente adottare delle esercitazioni basate sulla fase di ricezione del salto, atte a sollecitare una corretta ed efficace azione stabilizzatrice di tipo muscolare che avvenga grazie ad un aumento della stiffness, a sua volta dovuta ad un meccanismo di pre-attivazione, della muscolatura preposta a tele compito. Anche in questo caso è consigliabile variare gli angoli di lavoro e la meccanica di ricezione del salto stesso.
Mi sembra comunque importante ricordare che, dal momento che l’eziologia dei danni distorsivi e articolari è estremamente multifattoriale, anche il concetto di prevenzione deve essere giustamente calato in questo contesto e quindi giudicato, con la giusta obiettività, in funzione di quest’ultimo.
Una curiosità (istruttiva) sul legamento collaterale mediale
La lesione del LCM è normalmente associata ad una sollecitazione in valgo del ginocchio causata, ad esempio, da un trauma contusivo sulla parte laterale del ginocchio stesso, oppure da una caduta su di un fianco mentre l’arto è fermamente poggiato al suolo. Talvolta il danno al LCM può verificarsi anche per un trauma contusivo a livello del ginocchio in catena cinetica aperta, ossia quando il piede non è a contatto con il terreno. Un evento secondario associato alla lesione del LCM può essere costituito dalla lacerazione del menisco mediale. Il danno può anche verificarsi a causa del sovraccarico funzionale dato da overuse, come nel caso dei nuotatori di stile a rana, dove l’articolazione del ginocchio subisce un’estensione a “frusta” ripetuta durante il gesto tecnico specifico. Tuttavia, raramente i danni isolati del LCM necessitano di trattamento chirurgico, a cui invece sovente si ricorre nel caso in cui il trauma lesivo a carico del LCM, sia associato al danno di altre strutture legamentose o cartilaginee. Il trattamento normalmente consigliato è quindi di tipo conservativo. Il fatto che la scelta terapeutica preferenziale si orienti verso il trattamento di tipo conservativo, è dovuta al fatto che il LCM presenta maggiori capacità autoriparative rispetto ad altre strutture legamentose come il LCA ed il LCP. Alcuni Autori attribuiscono queste maggiori capacità di autoriparazione del LCM, rispetto al LCA ed al LCP, al fatto che il LCM, in fase di riparazione, mostri una sintesi endogena di ossido nitrico minore rispetto a quanto non avvenga nella stessa fase nel LCA e nel LCP; l’ossido nitrico infatti potrebbe ostacolare il processo di riparazione tissutale (Cao e coll., 2000).
Per chi volesse approfondire
Bisciotti GN. Il corpo in movimento. Edizioni Correre. Milano, 2004.
Cao M., Stefanovic-Racic M., Georgescu HI., Fu FH., Evans CH. Does nitric oxide explain the differential healing capacity of the anterior cruciate, posterior cruciate, and medial collateral ligament ?. Am J Sport Med. Mar-Apr 28(2). 176-182, 2000.
De Carli A., Vulpiani C. Traumatologia del basket: Studio epidemiologico. In: Martelli G., Attualità in medicina del basket. 4° Congresso Nazionale A.I.M.B. Giardini Naxos, 11-13 giugno 2000.
Hubley VL., Wells RP. A work energy approach to determine individual joint contribution to vertical jump performance. Eur J Appl Physiol. 50: 274- 254, 1983.
Junge A., Dvorak J., Chomiak J. Peterson L. Incidence and risk factors of football injuries. Journal of Sport Sciences. 19: 583- 584, 2001.
Sannicandro I. La propriocezione. Ed Calzetti e Mariucci. Perugia, 2007.
Van Soest AJ., Roebroeck ME., Bobbet MF. Comparison of one-legged and two-legged countermovement jumps. Med Sci Sports Exerc. 17: 422-426, 1985.
Weinwck J. La preparazione fisica ottimale del calciatore. Ed Calzetti e Mariucci. Perugia, 1998.
a cura di: Bisciotti Gian Nicola Ph.D.